Shein è il marchio più rappresentativo delle diciture
‘’ultra fast fashion’’ e ‘’fast fashion sotto steroidi’’. Con queste premesse è
facilmente intuibile che la sua produzione massiccia e ‘’fast’’ oltre ogni
limite non sia compatibile con la piena realizzazione e il rispetto dei diritti
dei lavoratori.
Sono state svolte due inchieste per svelare tutti i misteri che permettono al brand tale mole di produzione: la prima svolta dalla reporter Iman Amrani, la quale è entrata sotto copertura nelle fabbriche di Shein nella provincia cinese di Guangzhou; la seconda, di circa un anno fa, pubblicata dall’organizzazione indipendente svizzera Public Eye, che ha ingaggiato degli investigatori cinesi locali.
Dall’inchiesta della Amrani nasce il documentario intitolato ‘’Untold: Inside the Shein Machine’’, trasmesso nel Regno Unito dall’emittente Channel 4. Vengono analizzate le condizioni di lavoro all’interno delle due fabbriche nella provincia cinese. Immagini a dir poco agghiaccianti, infatti, sono arrivate agli occhi degli spettatori occidentali. Da quanto documentato, l’orario di lavoro può arrivare fino alle 18 ore giornaliere, con la concessione di un giorno libero al mese. A causa di tali turni massacranti che non permettono di vivere al di fuori dello stabilimento, la reporter scorge una donna che si lavava i capelli nel bagno della fabbrica durante la pausa pranzo. Tale immagine fa supporre al pubblico che la donna, a causa del suo lavoro, non ha nemmeno del tempo libero per occuparsi della sua igiene nelle mura domestiche.
Per quanto concerne la retribuzione, le due
fabbriche adottano politiche differenti: nella prima i lavoratori e le
lavoratrici guadagnano 4 centesimi per ogni capo; nella seconda la manodopera
recepisce uno stipendio di 4.000 yuan, ovvero circa 550 euro mensili, per la
realizzazione di minimo 500 capi al giorno. Le ‘’punizioni’’ non mancano di
certo, infatti, in entrambe le fabbriche, se il lavoratore commette un errore
nella confezione dei capi il salario giornaliero viene decurtato di due terzi.
La situazione di un anno fa riscontrata
dall’indagine di Public Eye non si discosta molto da quella attuale,
sopracitata. L’indagine prende il titolo di ‘’Toiling away for Shein’’, il cui
l’obiettivo era capire chi stesse pagando il prezzo della moda ultra veloce che
Shein ci fornisce. Gli investigatori locali da loro assoldati scoprirono delle
condizioni di sicurezza molto al di sotto delle norme vigenti: laboratori
informali, niente uscite di emergenza, finestre sbarrare. Rispetto al
documentario della Amrani, Public Eye scopre qualche informazione ulteriore
riguardo alla gestione dei lavoratori: molti non posseggono un contratto di
lavoro, dunque, non hanno tutela e contributi previdenziali. Anche nel centro
logistico Shein la situazione non è differente, oltre 10.000 persone impiegate a
lavorare 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Tutto questo va contro la legge cinese,
la quale stabilisce che il lavoro non può superare le 40 ore settimanali, con
un massimo di 36 ore di straordinario al mese, e almeno un giorno libero a
settimana.
La risposta del marchio non tarda ad arrivare dopo la pubblicazione del documentario della reporter Amrani:
«Siamo estremamente preoccupati per le
affermazioni presentate da Channel 4, che violerebbero il Codice di condotta
concordato da ogni fornitore Shein. Qualsiasi non conformità a questo codice
viene gestita rapidamente e porremo fine alle partnership che non soddisfano i
nostri standard».
«Abbiamo richiesto informazioni specifiche
a Channel 4 per poter indagare. Gli standard Shein’s Responsible Sourcing (SRS)
vincolano i nostri fornitori a un codice di condotta basato sulle convenzioni
dell’Organizzazione internazionale del lavoro e sulle leggi e normative locali,
comprese le pratiche e le condizioni di lavoro».
Da tali affermazioni si nota come il marchio
di e-commerce Shein effettivamente non gestisce da solo tutto, ma si affida a
ciò che possiamo definire ‘’Gruppo Shein’’: un complesso di circa 6.000
fornitori. Viene dichiarato dal ‘’Report sulla sostenibilità e impatto
sociale’’ redatto dal marchio, che sono stati svolti controlli su circa 700
fornitori, che risultano però, una parte minima rispetto ai 6 mila presenti.
Dal report inoltre vengono riportate delle violazioni del 27% in ambito di
sicurezza e sistemi anti-incendio e un 14% per le violazioni degli orari
lavorativi. In tali occasioni Shein dichiara di agire in relazione al grado di
violazione: o chiede allo stabilimento di adeguare i suoi standard o interrompe
i rapporti commerciali.
A parole sembrerebbe dunque che vi siano delle
premesse per un miglioramento delle condizioni umane, ma concretamente, i
lavoratori delle fabbriche di Guangzhou ne beneficeranno?
Ludovica Ferlito
fonti:
https://www.fattidistile.it/2022/10/21/shein-sfruttamento-lavoro-nuova-inchiesta/
https://forbes.it/2022/10/21/shein-sfruttamento-lavoro-channel-4-fast-fashion/
Condizioni pessime provocano produzioni altrettante pessime
RispondiEliminaTerrificante pensare che ancora oggi esistono condizioni lavorative del genere
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