La moda che inquina

L’obiettivo di Shein è creare la maggior quantità di articoli possibile, portando sul mercato ciò che i clienti desiderano trovare a prezzi bassissimi (si pensi che il prezzo medio di un articolo su Shein è inferiore agli 8 euro). Tutto questo, però, si ripercuote su un altro aspetto: la qualità, che risulta essere davvero bassa. Infatti si stima che circa il 60% dei prodotti viene buttato nel giro di un anno dall’acquisto stesso. Tuttavia questo fa parte della strategia dell’azienda Shein, in quanto si viene a creare un circolo che rende possibile la continuità degli acquisti da parte dei clienti. 

Si tratta di un modus operandi che si colloca all’opposto del concetto di sostenibilità, che, invece, implica la diminuzione dei consumi per aumentare il ciclo di vita degli oggetti acquistati. Inoltre una così scarsa qualità delle merci prodotte influisce direttamente sull’inquinamento ambientale. Basti notare l’altissimo impiego di microplastiche e sostanze chimiche che non sono assolutamente eco-friendly ma che, al contrario sprigionano ingenti livelli di CO2. Questi dati assumono un’importante rilevanza nel momento in cui consideriamo che l’intera industria del fast fashion è responsabile di più del 10% delle emissioni annue di CO2 nel mondo; un’azienda con gli standard produttivi di Shein ha sicuramente un’elevata incidenza in questa percentuale. Questo possiamo affermarlo nonostante la mancanza di dati certi, basandoci semplicemente su un’analisi superficiale della modalità produttiva di quest’azienda. Un altro aspetto da considerare è il rispetto del mondo animale, riguardo al quale il sito sostiene l’esistenza di una policy aziendale “no-animal”, che quindi non prevede né l’utilizzo di pelli o pellicce né test effettuati sugli animali. Tuttavia non si hanno fonti che lo possano accertare. Va inoltre ricordato che tutti i packaging di Shein sono in plastica, dimostrando così un totale menefreghismo a livello ambientale. 

Nonostante ciò le vendite non accennano a diminuire in quanto un consumatore medio, di fronte a una fantastica t-shirt acquistata per soli €3, non si fa di certo domande riguardo la sostenibilità ambientale del packaging. Sta, però, alla sensibilità di ognuno di noi chiedersi quanto possa impattare sull’ambiente ogni singolo prodotto spedito dentro una busta di plastica, ricordandoci gli altissimi livelli produttivi di Shein che lo portano a spedire in ben 150 paesi del mondo; anche le spedizioni stesse hanno un forte impatto sull’inquinamento. Considerati tutti questi fattori possiamo affermare con sicurezza che Shein è un vero campione di greenwashing. Se si va a controllare il sito web di Shein, però, si nota la presenza di un’intera sezione dedicata alla responsabilità del brand nei confronti della sostenibilità ambientale, da loro considerata un obiettivo ben perseguito: (https://it.shein.com/campaign/ourproducts?src_identifier=ai%3D52089%60an%3Dcsr%60on%3D0%60cn%3DBanner9%60hz%3D0%60ps%3D4%60jc%3Dactivity_ourproducts&src_module=campaign&src_tab_page_id=page_activity_factory1655217080751&ici=campaign%3Dcsr%2F52089_CT%3D1_CN%3DBanner9_CI%3D1471339_HI%3D0_HN%3D0&scici=campaign_csr_52089~~ON_1%2CCN_Banner9%2CHZ_0%2CHI_0~~1~~campaign_ourproducts~~ )
. In questa sezione si punta molto l’accento sulla volontà di creare un progetto per la realizzazione di impianti produttivi che impieghino energie rinnovabili e l’obiettivo della realizzazione di packaging in materiali sostenibili. Purtroppo anche riguardo tutti questi progetti non esistono dati cui attingere per verificarne la veridicità. (fonte: https://greenvector.it/shein-mostro-che-inquina/).

Nonostante queste caratteristiche che dovrebbero portare ad un’attenta riflessione da parte dei clienti, attuali e potenziali, non si fa altro che registrare un notevole incremento della produzione legata ad aziende che, come Shein, appartengono al mondo dell’ultra fast fashion. I prezzi incredibilmente bassi invogliano i consumatori ad acquistare indumenti non per la reale necessità degli stessi, bensì per il capriccio di sfoggiare ogni giorno outfit differenti. Altro punto a favore di queste industrie è l’esistenza di un sito web che facilita l’acquisto, eliminando la fatica di recarsi fisicamente in un negozio e provare i vestiti. Solo che la tendenza usa-e-getta, che sta prendendo sempre più piede in questi anni, ha un impatto davvero devastante sull’ambiente ed è proprio questo il motivo per cui il fast fashion è spesso indicato come una delle peggiori minacce per il nostro ecosistema. La produzione di vestiti in sé comporta un enorme dispendio idrico e ce ne accorgiamo analizzando i dati dell’industria tessile che, considerando coltivazione, produzione e trasporto, ci mostrano un consumo pari a 93 miliardi di metri cubi d’acqua. Oltre a questo, bisogna guardare all’ammontare di un 20% di tutte le acque di scarico conseguenti alla tintura delle fibre. Ad aggiungere un tasso spaventoso, pari all’87%, è la quantità di fibre prodotte che finiscono in discariche o inceneritori.  (https://www.fanpage.it/attualita/ultra-fast-fashion-la-moda-tossica-che-sta-soffocando-il-pianeta/).

A proposito delle sostanze chimiche presenti negli indumenti del brand Shein, è stata fatta un’inchiesta da Greenpeace, riportata sul sito https://www.canaleenergia.com/rubriche/inquinamento/i-capi-shein-contengono-sostanze-chimiche-pericolose-inchiesta-greenpeace/. Sono stati analizzati i capi a marchio Shein ma va considerato che in essi si può trovare solo una minima parte di ciò che viene usato nel corso dei processi produttivi. Quest’alto tasso di sostanze chimiche ha pesanti ripercussioni sia sulla vita dei lavoratori che vi entrano in contatto, che sulla vita del nostro ambiente. Tra le sostanze chimiche di cui è stato possibile rinvenire le tracce ci sono il nichel e la formaldeide: entrambi noti per l’elevata capacità di scatenare reazioni allergiche. Inoltre, è importante sottolineare che la formaldeide in particolare, se presente in elevati quantitativi, è una sostanza cancerogena per l’uomo. Riguardo, invece, l’alto impiego di materiali sintetici, va ricordato che possono provocare prurito ed eccessiva sudorazione. L’inchiesta, riporta la registrazione di quantità di sostanze chimiche pericolose ben oltre i livelli consentiti dalle leggi europee, per questo andrebbe considerata un’azienda illegale a tutti gli effetti. Un approfondimento dell’inchiesta stessa su questo aspetto è fornita da https://economiacircolare.com/ultra-fast-fashion-shein-greenpeace-chimica/, che mostra come tra i prodotti che, grazie a Greenpeace, sono stati analizzati e successivamente categorizzati come fuori legge, il 15% è stato realizzato in parte o interamente usando materiali derivanti dalla raffinazione di combustibili fossili: per la maggior parte si parla di scarpe. L’inchiesta si concentra anche sulla grande questione relativa allo spreco.

 Da questa inchiesta è chiaramente emerso il totale disinteresse per i rischi ambientali e per la salute umana dimostrato dal brand Shein.

Un’alternativa sana cui si può ricorrere nel caso in cui si voglia rinnovare frequentemente il proprio guardaroba, consiste nell’investire in abiti di seconda mano. A questo proposito, ultimamente, Shein ha lanciato un programma di rivendita che porta il nome di Shein Exchange; si tratta di un servizio integrato nell’app di Shein ma momentaneamente disponibile soltanto negli Stati Uniti. Questa iniziativa è parte di un progetto ben più ampio che si integra nella necessità, messa in risalto nel mondo della moda in questi ultimi anni, di dar vita ad un mercato circolare. L’attuazione di un progetto così ampio darebbe un notevole contributo alla salute ambientale in riferimento allo smaltimento dei rifiuti tessili.  (fonte: https://www.fattidistile.it/2022/10/21/shein-sfruttamento-lavoro-nuova-inchiesta/)

 Monica Giuffrida

 

 

Commenti

  1. E poi c’è ancora gente che fa indossare abiti shein ai bambini 😓😓

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  2. Comprare su Shein è come comprare il PETROLIO.
    La differenza sta che lo indossi

    Rzr.

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